Lusso, calma e voluttà? No, solo lusso, please.

“What is Luxury?” si chiede il Victoria and Albert Museum con la sua ultima mostra nello spazio dedicato all’arte contemporanea. E visto che da quando è iniziata in questa mostra mi è già capitato di lavorarci un po’ di volte, ho finito con il chiedermelo anch’io.

Non che manchino gli spunti di riflessione al riguardo sia ben chiaro che, soprattutto dal 2008, da quando cioè la Grande Crisi economica sta strizzando l’Occidente con la sua austerity come un tubo di dentificio in un pugno di ferro, abbiamo assistito (ebbene si’, anche in UK) allo sproporzionato arricchirsi di un piccolo 1% della popolazione, mentre il restante 99% tira avanti come può, spesso male. Uno dovrebbe essere talmente inferocito da questa sfacciata ingiustiza da voler assaltare l’House of Parlament come nel 1789 i francesi assalirono la Bastiglia, e il più delle volte lo siamo (io almeno lo sono e anche spesso). Ma siamo anche umani e a dispetto di tutto e tutti finiamo con il guardare con curiosità, un po’ di invidia e (mal riposta) ammirazione allo stile di vita di questa piccola minoranza di alieni che popolano le pagine di riviste patinate con le loro vacanze in luoghi esotici, i loro guardaroba senza fine e i loro fare festa come se non ci fosse domani.

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Paris Hilton

Siamo costantemente bombardati da immagini di oggetti di lusso, senza i quali la nostra esistenza si preannuncia triste e sconsolata – che si tratti di status symbol a quattro ruote come le varie Ferrari e Bentley e Aston Martin che poco a poco si sono sostituite nelle strade a marche più modeste (se una BMW si può considerare e tale…) e che sono parcheggiate distrattamente in strada come comuni utilitarie, di vacanze a cinque stelle in località esotiche, di abiti, borse o scarpe di marca.

 Advert for an Estate Agency. Gloucester Road, London. 2014© Paola Cacciari
Advert for an Estate Agency. Gloucester Road, London. 2014© Paola Cacciari

Per non parlare degli appartamenti. Negli ultimi anni Londra è diventata la casa (o almeno il luogo in cui hanno comprato un’altra delle tante loro case…) alcuni dei più grandi ricconi della terra. Ti rendi conto che una zona si è “gentrificata” quando improvvisamente uno scantinato umido viene promosso da semplice “flat” (il normale termine per abitazione, appartamento) ad “apartment” (il sinonimo americano figo che ha una connotazione più residenziale). Persino il supermercato racconta la tua provenienza sociale e la salute del tuo conto in banca. Waitrose o Tesco? M&S o Morrisons? Dimmi dove fai la spesa e ti dirò chi sei.

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Ma allora, cos’è davvero il lusso? “Può essere una cosa davvero personale…” mi dice la mia amica/collega A., romana  e come me espatriata in terra angla davanti ad un caffè nel giardino della Estorick Collection dove eravamo andate a vedere la mostra di Modigliani (vedi articolo qui). È meglio possedere una cosa o basta averne il ricordo? In poche parole, come dice Shakespeare in Come vi piace (As You Like It) è meglio  “avere degli occhi ricchi e delle mani povere” o il contrario? Io che non sono particolarmente interessata a vacanze di lusso, auto veloci o abiti firmati, so benissimo cosa preferisco. Come Jaques nella commedia di Shakespeare preferisco possedere il ricordo  di un’esperienza straordianaria che possedere una cosa. Musei, teatri e l’abbonamento alla Royal Opera House, il meraviglioso teatro d’ Opera e balletto di Londra sono lussi di cui non voglio fare a meno; per A. che fa l’illustratrice il lusso sono (sarebbero) libri di fotografia, un bel divano e il tempo per leggerli. Ma il bombardamento di immagini di cui siamo costantemente circondanti è tale da riempirci la testa di cose che più o meno coscientemente dobbiamo desiderare, fornendoci così un idea generica ed inesatta di cosa sia davvero il lusso.

Il mercato dei prodotti di lusso ruota attorno il tempo, all’abilità di artigiani straordinari, alla pazienza e all’uso di materiali preziosi e ricercati e sono queste le cose comprate da chi compra un oggetto di lusso: perché comprare un Pateck Philippe quando si può comprare uno Swatch: non sono forse entrambi orologi? Ma questo non è il punto. Il punto è l’esclusività che si compra con il primo e che separa il possessore di un Pateck Philippe di comuni mortali che (come me) possono solo permettersi uno Swatch.

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In questo nulla è cambiato dal Medioevo e Rinascimento quando l’uso di certi colori, di certe fogge o di decorazioni architettoniche era proibito a chi non apparteneva ad una certa classe sociale (che non si montassero troppo la testa….). Conspicuous consumption l’aveva chiamato l’economista e sociologo statunitense di origine norvegese Thorstein Bunde Veblen (1857-1929), nel suo libro La teoria della classe agiata (1899). Veblen fu il primo a mettere nero su bianco ciò che per anni era stato fatto in modo più o mendo inconscio. La ricchezza non viene solo accumulata, ma mostrata in società attraverso l’ostentazione di beni costosi. Ciò porta inevitabilmente anche ad un singolare gusto, per cui il valore estetico di un oggetto è legato strettamente al suo costo economico. E, ieri come oggi, non appena le classi dominanti si sentivano imitate dal popolino abbandonano le fogge colpevoli per adottarne altre che li differenziassero da chi voleva, ma non poteva, essere come loro. Basta guardare in Inghilterra cosa è accaduto con la marca Burberry diventata così desiderabile dalla working class che nessuno della midlle o upper class non si avvicinerebbe neanche morto ad uno dei suoi modelli tartan, pena l’ essere associato – o peggio scambiato – per un chav, equivalente britannico del truzzo o del tamarro.

Mi piace il fatto che questa non sia una mostra che vuole fornire risposte, ma che vuole piuttosto sollecitare la riflessione. E lo fa con un misto di oggetti che vanno dall’eccezionale – come una pianeta di pizzo veneziano o una super tecnologica sella da equitazione di Hermès – a veri e propri inni al kitsch come una scimmia ricoperta di cristalli (mi chiedo io chi in possesso delle sue piene facoltà mentali vorrebbe condividere il proprio spazio abitativo con una scimmia ricoperta di cristalli??). Nella seconda parte della mostra, che si interroga su futuro del lusso, un orologio senza lancette suggerisce che, dal momento che le nostre vite si fanno sempre più caotiche e complicate, il tempo e  lo spazio per vivere le nostre vite sono diventati il vero lusso. E da persona cronicamente a corto di tempo quale sono, non posso che essere d’accordo…

2015 © Paola Cacciari

Londra// fino al 27 Settembre 2015

Victoria and Albert Museum

3 thoughts on “Lusso, calma e voluttà? No, solo lusso, please.

    1. E’ una domanda che mi viene spesso posta dal pubblico e a parer mio le due cose si intersecano e si sovrappongono. L’arte fine a se stessa potrebbe essere un quadro o una statua (anche se quadri e statue avevano comunque sempre una funzione, che fosse decorativa o religiosa); il design e’ qualcosa che ha anche una funzione pratica, ma che e’ cosi bello e curato nei dettagli che diventa un’opera arte. Come una Ferrari, un Vacheron Constatin, un abito d’alta moda o le calzature di Manolo Blanick…

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