Quando Carlo II inventò l’abito a tre pezzi

Ai nostri giorni è il guardaroba delle donne della famiglia reale britannica ad essere passato al microscopio. Da quando Meghan Markle, la nuova Duchessa del Sussex è entrata a far parte di casa Windsor, non passa giorno che il suo visetto sorridente non faccia capolino dalla prima pagina di qualche quotidiano, di solito accompagnato da un lungo articolo sul cosa la suddetta duchessa indossi (o, nel caso di Kate Middleton, cosa ha indossato e quante volte), cosa indosserà, il prezzo, la marca e naturalmente il nome dello/a stilista di turno. Ma c’è stato un uomo che nonostante essere morto da oltre trecento anni è considerato il creatore di un tipo di abbigliamento maschile ancora in uso adesso, l’abito a tre pezzi. Parlo del re della Restaurazione, Carlo II (1630-1685).

Quando nel 1659 il protettorato retto da Richard Cromwell (il debole figlio di Oliver) cadde, Carlo Stuart, in esilio in Francia alla corte del cugino-sovrano Luigi XIV (1638-1715), fu formalmente invitato a tornare a fare il re in patria. Non se lo fece dire due volte e il 25 maggio del 1660 Carlo sbarcò su suolo inglese. Pochi giorni dopo entrò trionfalmente a Londra dove, il 23 aprile 1661 fu incoronato re d’Inghilterra, Scozia e Irlanda nell’abbazia di Westminster, secondo la tradizione.

 

Charles II of England in Coronation robes by John Michael Wrigh, circa 1661-1662, Hampton Court Palace. London Royal Collection
Charles II of England in Coronation robes by John Michael Wrigh, circa 1661-1662, Hampton Court Palace. London Royal Collection

Tuttavia, sebbene fosse stato invitato a tornare in Inghilterra per regnare, Carlo era consapevole che la sua posizione come sovrano era ancora molto incerta. Esasperato da undici anni di puritanesimo, durante il quale Oliver Cromwell e i suoi seguaci avevano soppresso meticolosamente la danza, il teatro, il gioco d’azzardo, il Natale e tutte le cose che rendono la vita interessante, il Paese rivoleva la monarchia nella speranza che con il nuovo re almeno la vita sarebbe tornata ad essere nuovamente divertente. Il sovrano sapeva di non poter permettersi mosse false, che in fondo suo padre Carlo I era stato condannato a morte e decapitato solo undici anni prima, nel 1649, per essere stato troppo stravagante e spendaccione. E allora sceglie la strada del compromesso. Era tornato per fare il re e voleva apparire tale, ma voleva anche mandare un messaggio rassicurante ai suoi nuovi suddidti. E cosa meglio degli abiti per esprimere un concetto così semplicemente complesso? In fondo proprio il suo stesso cugino Luigi XIV  aveva detto “La moda è lo specchio della storia” e il Re Sole di moda se ne intendeva…

Carlo II si buttò con entusiasmo nel suo nuovo ruolo di monarca restaurato, scegliendo con cura cosa indossare e come presentarsi. Il problema principale era che lo splendore francese (e le mode) non erano popolari in patria. Questo era un problema per Carlo, che aveva trascorso parte della sua vita in Francia, dove era stato spedito dal padre nel 1646 quando era ancora principe di Galles, per metterselo al sicuro, una volta chiaro che le Teste Rotonde di Oliver Cromwell avrebbero vinto la guerra civile. Ma Luigi XIV viveva in grande opulenza, ed era evidente che ogni associazione anche remota del sovrano britannico con l’abbigliamento del re Re Sole che era: a) francese, b) cattolico, c) sovrano assoluto (non necessariamente in quest’ordine…) non sarebbe andato giù al Parlamento.

Carlo II deve giostrarsi in una situazione difficile. Come il suo modaiolo cugino francese, anche il nostro è perfettamente cosciente dello strettissimo legame tra moda e potere politico e cerca di ricreare alla corte inglese quello che aveva visto durante il suo esilio alla splendida corte francese, naturalemente in modo molto più ridotto. Ma in un momento in cui l’Inghilterra si stava riprendendo da una serie di tragedie come la guerra del 1664, la peste del 1665 e il grande incendio di Londra che, nel 1666, aveva distrutto una parte della capitale, avevano prostrato l’economia e prosciugato le finanze del Paese, era chiaro che non c’era posto per gli sprechi.

John Rose (1619–1677), the Royal Gardener, presenting a Pineapple to King Charles II (1630–1685) Henry Danckerts Royal Collection Trust / © Her Majesty Queen Elizabeth II
John Rose (1619–1677), the Royal Gardener, presenting a Pineapple to King Charles II (1630–1685) Henry Danckerts Royal Collection Trust / © Her Majesty Queen Elizabeth II

Così, per mettere a tacere una volta per tutte le voci che la sua corte fosse dissoluta e spendacciona, il 7 ottobre 1666 Carlo emise una dichiarazione con cui ripudiava le “mode francesi”. Invece, avrebbe adottato ciò che era noto all’epoca come il “giubbotto persiano”, un lungo panciotto bordato di nastri in vita e al ginocchio da indossare con un cappotto, anch’esso al ginocchio, con polsini ampi e risvoltati per mostrare la camicia di lino sottostante, realizzato in lana inglese e non in seta francese. Quello di Carlo è uno stile semplice nei colori e materiali, come mostra il dipinto di Henry Danckerts raffigurante John Rose il giardiniere reale che offre un ananas a Re Carlo II appartenente alla Royal Collection e di cui ne esiste una copia nella seicentesca Ham House, nell sobborgo londinese di Richmond.

Il dipinto è insolito, in quanto raffigura Carlo II che indossa un tipico abbigliamento alla moda degli anni 1670, piuttosto che le vesti cerimoniali o l’armatura in cui veniva solitamente raffigurato e che sembra gridare a chi guarda: “Guardatemi, mi vesto come voi: sono uno di voi!” Certo dietro l’ostentata semplicità di Carlo c’era anche un altro motivo: al contrario di quanto accadeva in Francia, le finanze del sovrano britannico erano strettamente controllate dal Parlamento – e questo valeva anche per le questioni di guardaroba. Gli sprechi non erano permessi. Ma non fatevi ingannare: la ricchezza sta tutta nei dettagli, che stiamo pur sempre parlando del re! L’enfasi si sposta su stoffa e taglio, non su volant e accessori come accadeva in Francia. Unici accessori permessi, una fascia, calze e scarpe con la fibbia. Con il trascorrere del tempo il gilet divenne sempre più corto, fino a raggiungere nel 1790 circa, la lunghezza che conosciamo oggi, arrivata a noi nella versione in bianco o nero indossata dal dandy per eccellenza Beau Brummel.

Sfortunatamente Luigi XIV rimase così poco colpito dall’ostentata semplicità di questo nuovo tipo di abbigliamento che decise di adottarlo per l’unico abito per cui lo riteneva adatto: la livrea dei suoi servitori. L’ennesima dimostrazione che il costume dice cose che le parole non dicono…

2018 ©Paola Cacciari

Grazie a Laura di Bellezza In The City che ha pubblicato questo mio post sul caro vecchio Carlo II sul suo blog! Laura si è fatta promotrice di una bellissima iniziativa sul suo blog, il Blogger Corner in cui ospita guest authors che hanno qualcosa in comune con i suoi interessi e la sua personalita’. Se non conoscete ancora, vi invito a farci un giro perchè è pieno di conisgli utili ed interessanti. Buona lettura!

6 thoughts on “Quando Carlo II inventò l’abito a tre pezzi

  1. Post da leggere indossando jeans tagliuzzati dalla coscia alla caviglia e sogghignando.

    (“L’ennesima dimostrazione che il costume dice cose che le parole non dicono…” splendida conclusione)

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