Il Victoria and Albert Museum ha una lunga storia in quanto a organizzare mostre di moda, e certamente da quando ci lavoro ne ho viste tante (molto spesso dall’interno, lavorandoci dentro…). Negli anni ho visto celebrare geni come Christian Dior, Balenciaga e Alexander McQueen, gli Swinging Sixties di Mary Quant, gli anni Ottanta di Club to Catwalk, e il rapporto tra moda e Natura in Fashioned from Nature e l’affascinante storia dell’abbigliamento maschile di Fashioning Masculinities, senza dimenticare accessori come borse, e scarpe e biancheria intima. Ma dalla sua fondazione nel 1852 il V&A (e per la verità nessun’altra istituzione britannica…), ha mai dedicato un’intera mostra alla moda africana.
L’artista ghanese El Anatsui ha affermato che “il tessuto è per gli africani ciò che i monumenti sono per gli occidentali”.
Il linguaggio della moda non è una novità anche nell’Occidente (vedi qui). Ma in molte culture africane il tessuto è un vero e proprio documento storico, ricco di significato simbolico
Gli anni dell’indipendenza e della liberazione africana dalla metà della fine degli anni ’50 al 1994 hanno innescato un radicale riordino politico e sociale in tutto il continente africano, anche grazie alla all’operato di OSPAAAL (Organizzazione di Solidarietà con i Popoli dell’Asia, dell’Africa e dell’America Latina) l’organizzazione di solidarietà formata da movimenti antimperialisti e rivoluzionari nel Sud del mondo sull’onda della Conferenza Tricontinentale del 1966 e con sede a Cuba, e alla pubblicazione della rivista Tricontinental. Che centra Cuba con l’Africa? C’entra eccome, che Fidel Castro riteneva suo dovere intervenire militarmente in quei paesi che percepiva essere governati da un tiranno o da un despota. E nel corso della Guerra Fredda.la piccola Cuba è intervenuta in numerosi conflitti, dall’Algeria al Congo, all’Angola, in supporto di movimenti di liberazione locali, pagando un caro prezzo a livello internazionale per le sue politiche interventiste.
Tra moda, musica, arti visive, manifesti di protesta, pubblicazioni e dischi, vediamo oggetti che incarnano questa era di cambiamento radicale. Le prime pubblicazioni dei membri del Mbari Club, creato per scrittori, artisti e musicisti africani, si trovano accanto alla copertina di Beasts of No Nation di Fela Kuti, un album di chiamata alle armi che incarnava il sentimento comune di frustrazione nei confronti della politica del tempo, ma anche l’energia della creatività africana e la spinta dei suoi artisti a creare cose belle.
Kente cloth Kwame Nkrumah
La politica e la poetica del tessuto considera l’importanza del tessuto in molti paesi africani e come la fabbricazione e l’uso di tessuti indigeni nel momento dell’indipendenza sia diventato un atto politico strategico. Sono presenti stampe a cera, tele commemorative, àdìrẹ, kente e bògòlanfini, esempi di tecniche provenienti da tutto il continente. In mostra c’è un tessuto commemorativo realizzato nei primi anni Novanta dopo il rilascio di Nelson Mandela, con un ritratto del futuro primo presidente nero del Sud Africa e le parole “UNA VITA MIGLIORE PER TUTTI – LAVORARE INSIEME PER LAVORO, PACE E LIBERTÀ”.
Tra i documenti storici più importanti è il ritratto dell’allora primo ministro ghanese Kwame Nkrumah che indossa un panno kente per annunciare l’indipendenza del suo Paese dal dominio britannico nel 1957. Tipico del Ghana, il kente è un tessuto a strisce di seta e cotone – ogni tessuto che porta il nome e/o un messaggio del tessitore, ragione per cui i ghanesi scelgono i tessuti kente con molta attenzione. Storicamente il tessuto veniva indossato come una toga dai reali di gruppi etnici come gli Ashanti e gli Ewe. Nel Ghana moderno, l’uso del tessuto kente si è diffuso per commemorare occasioni speciali,
Una sezione dedicata alla fotografia della metà della fine del XX secolo, cattura l’umore delle nazioni sull’orlo dell’autogoverno. L’euforia della decolonizzazione coincide con la democratizzazione della fotografia, resa possibile grazie a pellicole più economiche e fotocamere più leggere. Gli scatti documentano la modernità, il cosmopolitismo e la coscienza della moda degli individui, mentre i ritratti realizzati negli studi e negli spazi domestici sono diventati affermazioni di azione e rappresentazione di sé, visibilmente orgogliosi di essere neri e africani. I punti salienti di questa sezione includono la fotografia in studio di Sanlé Sory, Michel Papami Kameni e Rachidi Bissiriou. Gli eleganti ritratti a colori di James Barnor si affiancano anche alle fotografie domestiche di 10 famiglie raccolte dall’appello pubblico del V&A nel gennaio 2021.
James Barnor James Barnor
Il piano superiore è dedicato ai designer e ai fotografi contemporanei, impegnati a sfidare la mancanza di sfumature nelle rappresentazioni dei musulmani neri non binari. Ma il vero fine dei creatori della mostra è abbattere strategicamente i vecchi confini coloniali
2022 Paola Cacciari
London//fino al 16 Aprile 2023
Africa Fashion @ Victoria and Albert Museum
Paola, che casino stai combinando? Il tuo blog è tutto a zig zag. Effetto Brexit? Non basta l’ineffabile Boris? Ciao, un caro salutissimo saluto.
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che tempo fa in Inghilterra?
Buona serata.
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Fredooooo 🥶
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Carissima riguardati e proteggiti.
Qui in Italia al momento 6 gradi col sole stupendo, vedremo i prossimi giorni.
Grazie per la risposta Paola, ti auguro una stupenda giornata.
Giovanni
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Oggi meni freddo 🤗 aspettiamo la primavera🤞🤞🤞🤞ciao Giovanni
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