Nella biblioteca del museo mi sono trovata tra le mani il catalogo di una mostra di molti anni fa da titolo Postmodernism: Style and Subversion 1970-1990. Ricordo di essere uscita completamente elettrizzata. E non solo perché la mostra era divertente e interessante, ma perchè per una volta il passato che già passato, non era ancora troppo passato da non ricordalo. Che da figlia della Generazione X quale sono, le cose che stavano lì dentro me le ricordo tutte – o quasi. Sono postmoderna pure io!
Che negli anni Ottanta anch’io ero un’adolescente con la permanente da barboncino impazzito (bruciacchiata al punto giusto) che se ne andava in giro infagottata in orrendi maglioni oversize con le maniche a raglan, annegata in giacche e giubbotti dalle spalle talmente imbottite da intimidire un giocatore di football americano, piegata sotto il peso di uno dei primi modelli di Walkman creati dalla Sony (così pesante che si vendeva provvisto di un’apposita tracolla!). iPod? Mp3? Spotify? iTunes? Stiamo scherzando?? Mai come negli anni Ottanta è stato così faticoso essere cool…
Grace Jones maternity dress 1979 © Jean-Paul Goude. Cinzia Ruggeri
Se per il Modernismo la decorazione era quasi un peccato mortale, per il Postmodernismo è vero il contrario. Quello postmoderno è un mondo effimero, dominato dalla teatralità e dall’esagerazione, un mondo abitato da pop stars androgine come Boy George o Grace Jones, un mondo in cui artificiale e naturale si uniscono come nelle architetture di Philip Johnson o di Hans Hollein che giocano in modo irriverente con i principi architettonici dell’architettura classica. In breve, un mondo che va affrontato con scettiscismo e ironia.
Dopo essermi aggirata per le varie sezioni (i curatori hanno saggiamente deciso di concentrarsi solo sul design, evitando arte e letteratura contemporanee che da sole avrebbero fornito abbastanza materiale per un’altra mostra) mi sono appropriata delle cuffie attaccate al televisore che trasmetteva non stop video di Kraftwerk, Talking Heads, Devo, Visage e altre chicche di MTV, guardata con aria attonita da una moderna adolescente mentre, con le cuffie nelle orecchie, improvvisavo goffe mosse di danza al ritmo dei Culture Club. Che la poverina in questione avrà avuto sedici anni e dubito che sapesse cosa fossero Boy George e la New Romantic Uh!



Ho sostato con reverenza davanti ai costumi di scena di Annie Lennox e di David Byrne, e di quelli di Pris e Rachel, le replicanti di Blade Runner, film che ho visto quando avevo quattordici anni ed ero cotta marcia di Harrison Ford e al cinema ci andavo al pomeriggio.
Ho ammirato il segno del Dollaro di Andy Warhol introduce il soggetto del denaro e la cultura degli yuppies, che io ricordo più per i film di Carlo Vanzina con Massimo Boldi e Cristian de Sica che per la manovra economica di Margaret Thatcher. Mi sono commossa davanti al prototipo della copertina di Closer dei Joy Division, e ho sorriso con tenerezza davanti ai caricaturistici utensili da cucina Alessi e ai mobili assurdi e alle assurde (e bellissime!) ceramiche del Gruppo Memphis di Ettore Sotsass e di Studio Alchymia. Che al contrario del Modernismo, dove la forma segue la funzione, per il Postmodermismo lo stile viene prima di tutto. E non a caso l’Italia e stata una delle prime nazioni ad abbracciare con entusiasmo questo movimento! È davvero una questione di stile, e di quello noi italiani di quello ne abbiamo davvero da vendere… 😉
Inutile dire che sono uscita dalla mostra gongolante e con un mega-sorrisone stampato sulla faccia. Che è stato impagabile rivivere quegli anni. E ancora di più è stato farlo senza la permanente bruciata…
2022
Londra//fino al 15 Gennaio 2012
Postmodernism: Style and Subversion 1970 – 1990 @ Victoria and Albert Museum
vam.ac.uk
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