Da bambina volevo fare l’archeologa, che ho sempre avuto una passione per la storia e i misteri delle scomparse civiltà e città del passato. Tanto che la mia povera mamma non si scompose quando, alle medie, la spedii in libreria a comprarmi l’edizione integrale di Civiltà sepolte. Il romanzo dell’archeologia di C.W. Ceram di cui la prof. di storia aveva parlato. Anche se indubbiamente [la mia mamma] si preoccupava per quella sua strana figlia adolescente che preferiva isolarsi a leggere degli scavi archeologici di Ercolano e Pompei, della riscoperta di Troia da parte di Heinrich Schliemann, passando per gli Assiri, i Babilonesi, i Sumeri, i Maya, gli Aztechi. Naturalmente un capitolo del libro era dedicato a Champollion e alla decifrazione dei geroglifici.
Mi sono sempre chiesta quale sia stata la reazione del giovane studioso francese, Jean-Francois Champollion quando, dopo anni di tentativi riesce finalmente a decifrare il linguaggio dei geroglifici. I avrei fatto salti di gioia, immagino abbia fatto lo stesso. Il monumento che ha consentito questa svolta è stata ovviamente la Stele di Rosetta, oggi ritornata al nome originale di Rashid, dall’antica e ricca città sul delta del Nilo dove fu scoperta nel 1799. Che prima del ritrovamento della stele e della sua decifrazione, la comprensione di questa antica scrittura lingua egizia si era persa quasi nel tempo, il suo significato deliberatamente reso sempre più complesso e criptico durante il periodo tardo dell’epoca faraonica. A questo si aggiunsero anni di conquiste e saccheggi – a partire da Ottaviano che, sulla strada per diventare Cesare Augusto, nel 30 a.C. affronta e sconfigge Antonio e Cleopatra, seguita poi dall’invasione araba e dell’Impero Ottomano, tutti fatti che accelerarono la perdita del significato originale dei geroglifici. Il loro uso decorativo nelle iscrizioni ufficiali cessò dopo la chiusura di tutti i templi non cristiani, avvenuta nell’anno 391 per volere dell’imperatore romano Teodosio I.
Champollion tuttavia non fu il primo a studiare il semi-pittorico misterioso “linguaggio degli uccelli” , come erano chiamati i geroglifici nell’antichità. Già ci avevano provato i viaggiatori arabi medievali e gli studiosi del Rinascimento che, infischiandosene dei dati storici, lo trasformano in una scrittura «silenziosa» le cui figure simboliche sono in grado di svelare la vera essenza e il significato trascendente delle cose. Come l’occhio alato, forse derivato dall’iconografia egizia dell’occhio di Horus, che Leon Battista Alberti, adotta come suo simbolo personale. Il francese è solo più veloce degli altri a pubblicare i risultati dei suoi studi dell’eccentrico studioso inglese Thomas Young (1773–1829), che propendeva per considerare quei simboli misteriosi pittogrammi occulti, invece che un alfabeto di suoni (anche se in realtà erano entrambi).
Ci voleva Napoleone con la sua Campagna d’Egitto per ridare la spinta finale all’impresa. Furono infatti i soldati di Napoleone, capeggiati dal capitano Pierre-François Bouchard a portare alla luce per caso la stele di Rosetta, trovata ‘riciclata’ nelle mura di un forte che stavano occupando nel 1799. Fortunatamente Napoleone aveva portato con sè una brigata di studiosi, con istruzioni ben precise di individuare tesori da portare in Francia, e la Stele fu immediatamente riconosciuta. Ma quando il Duca di Wellington sconfisse Napoleone a Waterloo, la Stele approdò invece a Londra dove, dal 1802 è conservata al British Museum, del quale (come dice Wikipedia) è il reperto più popolare della collezione, insieme con le mummie.
L’anticlimax deve essere stato intenso quando, invece di gesta di eroi o storie degli dei, Champollion trova incisi su questo grosso pezzo di granito una serie di noiosi paragrafi burocratici Tuttavia il fatto che codesti articoli fossero in tre lingue – geroglifici, demotico e greco, deve aver diluito non poco la delusione. E il resto è storia…
2022 ©Paola Cacciari
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