C’era una volta il biglietto di carta…

C’era una volta in un tempo lontano, quella piccola cosa che si chiamava biglietto di carta. Per andare a teatro, al cinema, ad un concerto o ad un museo, in aereo o a qualche evento sportivo, si riceveva un piccolo tagliando colorato che attestava l’avvenuta transazione e il nostro diritto si entrare nel reame (più o meno) fatato per cui ci si era dati pena di attendere in fila, e pagare.

Ricordo con affetto i distributori automatici di biglietti nell’atrio principale della Royal Festival Hall o del National Theatre. Prenotavo spettacoli e concerti da casa e quando passavo da quelle parti, inserivo la mia carta di credito e la macchinetta si metteva in moto, stampando allegramente i miei biglietti per gli eventi per i mesi a venire. Riponevo quei tesori in una busta e ogni tanto li andavo a guardare, pregustando gioie future: una soddisfazione pazzesca.

Poi è arrivato il Covid e, quella che già era una tendenza diffusa, ma opzionale (che si poteva scegliere tra il biglietto fisico e quello digitale) è divenuta standardizzata a Londra. Certo, consentendo di effettuare la transazione senza alcun contatto, l’e-ticket e il QR code necessario per il sistema Test and Trace del governo, hanno permesso a musei, teatri, negozi e ristoranti e di riaprire cautamente le porte al pubblico nel bel mezzo della pandemia. Che al giorno d’oggi, poiché anche lo smartphone più basilare può scaricare e visualizzare gli e-ticket, non è necessario stamparli, sono più economici, sostenibili e non si perdono nella posta o tra le pile di carta della scrivania…

Ma a livello emotivo, non sono la stessa cosa. Almeno non per me che da quando ero piccola conservo i biglietti delle cose che faccio, degli spettacoli a cui vado, delle mostre che vede. Biglietti che trovano posto su l’album di ritagli del momento, insieme a qualche nota personale, e che mi piace riguardare ogni volta che mi sento nostalgica. Stampare i biglietti digitali non ha senso – vanifica l’idea stessa della sostenibilità. E comunque non è la stessa cosa.

E se i vantaggi della tecnologia e digitalizzazione che ci separano da certi oggetti fisici ormai considerati obsoleti come i CD, i DVD, le musicassette e i biglietti di carta appunto – bisogna convenire che guardare con aria sognante un codice a barre, non da’ certo la stessa soddisfazione del rigirare tra le mani un colorato biglietto stropicciato. Che difficilmente un QR code sarà in grado di sollecitare nel nostro cervello quelle epifanie sensoriali che Proust chiamava memoria involontaria, in grado di restituirci un ricordo intatto, insieme alle sensazioni fisiche che si erano provate, gli odori, i colori, i suoni…

Is this the end of live arts?

This is not about the politics, or vaccination policies, this post is just my personal thoughts… Recently the Metropolitan Opera announced they will require proof of vaccine boosters to enter the world’s largest opera house… (click here for full article) Major shows, institutions, and opera have also withdrawn holding live performances this month… The world […]

Is this the end of live arts?

Quando Kensington aveva un canale

Chi l’avrebbe mai detto! Che durante la Reggenza anche il quartiere di Kensington avesse una via navigabile come il più famoso Regent’s Canal! Da anni bazzico in quest’area per lavoro e per piacere, ma non sapevo dell’esistenza di un bacino e tantomeno di un canale.

Ok, non era proprio un canale, all’inizio era più un ruscello che altro, il Counter’s Creek che attraversava il quartiere da da Nord a Sud, passando da Kensal Green Cemetery, Kensington Olympia e, oltrepassando Earl’s Court e West Brompton costeggiava il Brompton Cemetery e quello che è ora è il luogo in cui sorge lo stadio del Chelsea F.C. a Stamford Bridge, per poi buttarsi nel Tamigi. Sul luogo sorge la centrale elettrica (ancora per poco) in disuso di Lots Road, ovest del ponte di Battersea. Dico ancora per poco, perché come tutte le cose che possono portare soldi e “gentrificazione” a Londra ( e non solo), anche questo iconico edificio come la Battersea Power Station, è in procinto di diventare un blocco di appartamenti super lusso con vista sul Tamigi.

Lots Road Power Station, London, England. Photographed by Adrian Pingstone

Ma torniamo al nostro canale. Nel 1820, l’apertura del Regent’s Canal che congiungeva il vicino bacino del Grand Junction Canal a quelli di Paddington, Limehouse e al Tamigi trasportando un traffico ampio e in rapido aumento, convinse William Edwardes, il secondo Lord Kensington, che sarebbe stata una buona idea trasformare quella parte del Counter’s Creek che attraversava la sua proprietà in un canale navigabile come il Regent’s Canal. Allettato dall’idea di arricchirsi con pedaggi e commercio, affidò al geometra William Cutbush, il compito di prepare un progetto adatto allo scopo e tra il 1824 e il 1828 la parte più a sud del torrente fu sviluppata nel Canale di Kensington.

Brompton Cemetery and Kensington Canal by William Cowen

Il Kensington Canal fu inaugurato il 12 agosto 1828, con l’idea di estenderlo fino ai bacini del Grand Junction e di Westbourne, ma l’enorme costo per le undici chiuse necessarie all’operazione finì con il dissuadere Lord Kensington, che dovette rassegnarsi al fatto che il suo nuovo canale si stesse rivelando già dall’inizio un buco nell’acqua. Il fatto era che, in realtà il Canale non era altro che il fiumiciattolo Counter’s Creek migliorato e ampliato; e in quanto più fiume che canale, era soggetto (come il Tamigi in cui si buttava) alle maree – cosa che ne limitava il traffico e di conseguenza le entrate pecuniarie che sin da subito si dimostrarono sostanzialmente inferiori a quanto sperato.

Kensington Canal, plan of basin and lock near Warwick Road in c. 1850

Altro fattore che il nostro Lord Kensington non aveva considerato era stato l’effetto tornado dell’arrivo dell’era ferroviaria, che a Londra in particolare diede il colpo di grazia alla navigazione fluviale. Il canale fu quindi acquistato dalla ferrovia nel 1839 e per costruire la West London Railway che, tramite il Kensington Canal, avrebbe collegato l’Inghilterra Nord Occidentale con il bacino di Kensington, consentendo l’accesso, smistamento e trasporto delle merci ai vari moli di Londra. Inaugurato nel 1844, nonostante un inizio promettente, anche questo progetto si rivelò tuttavia un buco nell’acqua. Gli introiti erano bassi e la ferrovia chiuse appena sei mesi dopo l’apertura. Le uniche vestigia ancora visibili ai nostri giorni sono un fosso verdeggiante accanto al binario 4 (treni per Olympia) della stazione della metropolitana di West Brompton. Le scoperte fatte durante il lockdown….

2021 by Paola Cacciari

Life (at the museum) after Covid

Dopo i primi mesi di entusiasmo, gentilezza e tentativo ritorno alla normalità, è ovvio che la gente ha superato il trauma del lockdown. Niente più applausi e ringraziamenti per medici, infermieri, commessi dei supermercati e customer facing staff.

L’allentamento delle restrizioni e l’abbandono della mascherina obbligatoria del 19 Luglio sembrano aver mandato a molte persone il segnale inconfutabile del businnes as usual.

Il che sembra includere l’essere sgarbati, maleducati e generalmente sgradevoli con chi lavora nei servizi. Davvero, posso dire con certezza che questa normalità non mi mancava…. 😠☹️

ICOM, un museo su dieci ha dovuto licenziare membri del personale

Il COVID ha fatto strage, e non mi riferisco solo alle migliaia di vite umane perdute ovunque nel mondo.Ha anche cambiato radicalmente il settore della cultura – arte, musica, teatro, riducendo sull’orlo del precipizio economico musei, orchestre e teatri.

Un precipizio da cui molte di queste istituzioni non si riprenderanno mai più. Il danno economico è stato enorme e lo so per certo, lavorando in uno dei più grandi musei nazionali di Londra. L’organico è stato a dir poco dimezzato, sono stati fatti tutti i tagli possibili e immaginabili, incluso introdurre una chiusura settimanale di due giorni – cosa credo che non avveniva dalla Seconda Guerra Mondiale.

In Front of House, il dipartimento in cui lavoro e che si occupa dell’accoglienza, del commercio e della sicurezza – di tutto ciò insomma che ha a che fare con il pubblico di un museo, abbiamo perso circa il 10% della nostra forza lavoro complessiva rendendo la gestione di un museo così grande estremamente faticosa e frustrante. Il fatto che la falce degli esuberi non abbia risparmiato nessuno neanche in altri dipartimenti, dai restauratori ai curatori, non ha reso le cose più semplici. Il detto proverbiale “Mal comune, mezzo gaudio” proprio non aiuta in casi come questi…

Qui riporto un interessante articolo di Salvo Cagnazzo sul blog Uozzart.

Secondo una recente indagine condotta da ICOM, la percentuale di partecipanti che dichiarano che i dipendenti sono stati licenziati è aumentata costantemente dal 5,8% di maggio 2020 al 9,6% di un anno dopo. Ciò significa che quasi uno su dieci dei musei partecipanti ha dovuto licenziare membri del personale a causa della crisi. L’articolo ICOM,…

ICOM, un museo su dieci ha dovuto licenziare membri del personale

It’s coming home – to Rome

Strana atmosfera oggi a Londra. Non che sia andata molto lontano sia chiaro, che il giorno dopo Italia – Inghilterra a Wembley mettere il naso fuori casa da italiana nella tana del leone (o meglio, dei tre leoni) mi rende più inquieta dell’avvicinarsi rimozione delle restrizioni del Covid…

In uno stadio stracolmo di supporter rosso-bianchi che (a torto o a ragione) davano già quasi per scontata la vittoria inglese, l’arco di Wembley si è invece colorato di rosso, bianco e verde. E Londra ieri sera si è colorata di azzurro.

Scrive il giornalista Tobias Jones sull’Observer: “Come tifoso, non brami solo la gloria sportiva, ma anche, attraverso la tua squadra, capire da dove vieni e dov’è la tua vera casa.” Come me, Tobias Jones è un espatriato, un’inglese in Italia come io sono un italiana a Londra. E per chi come noi ha una famiglia ibrida anglo-italiana questa non è stata solo una partita, ma una scelta tra il nostro paese d’origine e quello adottivo, tra i nostri compagni di vita e la famiglia di origine, tra gli amici italiani e quelli inglesi. A casa mia non c’era dubbio: il mio compagno inglese è per l’Inghilterra, mentre io nonostante la cittadinanza britannica, ero per l’Italia. Ovviamente. 

Gli Europei di calcio mi hanno fatto riprendere in mano un saggio di George Orwell dal titolo Lo Spirito Sportivo, di cui avevo già scritto a proposito dei Mondiali di Russia in questo post Il calcio secondo George Orwell. Qui Orwell scrive: “Lo sport serio non ha niente a che vedere con il fair play. È semmai strettamente legato all’astio, alla gelosia, alla vanagloria, alla noncuranza di qualsiasi regola e al sadico piacere di assistere a manifestazioni di violenza: in altre parole è come la guerra, ma senza gli spari.”

Ancora una volta mi è venuto da riflettere sulla tribalità del calcio, o degli sport agonistici in genere. Si gioca per vincere, arrivare secondi non conta – lo hanno dimostrato ampiamente i giocatori inglesi sfilandosi con stizza la medaglia d’argento appena ricevuta dal presidente dell’Uefa Ceferin. Ma, continua Orwell, “l’aspetto significativo non è la condotta dei giocatori bensì l’attitudine degli spettatori: e, dietro gli spettatori, quella delle nazioni che finiscono per infuriarsi su queste assurde competizioni, e che credono seriamente […] che correre, saltare e dare un calcio al pallone costituiscano una prova di virtù nazionale. […] Il calcio senza la folla non ha alcun significato.

Anche se gli spettatori non intervengono fisicamente, provano comunque a influenzare l’andamento del gioco incitando la loro squadra e innervosendo i giocatori avversari con urla ed insulti.” Altro che fair play: il calcio sembra risvegliare gli istinti più selvaggi. Certamente lo fatto nei tifosi inglesi che non contenti di fischiare l’Inno di Mameli nonostante gli appelli a non farlo dell’ex calciatore della nazionale inglese Gary Lineker e di Boris Johnson, hanno dato il peggio urlando insulti razzisti a Marcus RashfordSancho Saka, i tre giocatori di colore che hanno sbagliato i rigori.

Marcus Rashford

Marcus Rashford, attacante ventiduenne del Manchester United, dopo aver aiutato a raccogliere circa 20 milioni di sterline per sostenere le famiglie in difficoltà nei giorni più critici della pandemia è riuscito a fare cambiare idea al governo di Boris Johnson che voleva sospendere i buoni pasto per oltre un milione di bambini inglesi provenienti da famiglie a basso reddito durante le vacanze estive del 2020 e che grazie a lui hanno continuato a ricevere un buono settimanale per un pasto gratuito al giorno. Per la sua attività umanitaria Rashford è stato insignito dalla Regina Elisabetta II dell’Eccellentissimo Ordine dell’Impero Britannico (The Most Excellent Order of the British Empire) una tra le onorificenze più importanti del Regno Unito. Ciononostante “l’attivista” conservatore Darren Grimes lo ha insultato in Twitter dicendogli di dedicarsi meno alla politica e più al calcio.

Davvero, il giocare per divertirsi ha significato solo quando non è coinvolto il patriottismo locale. Perchè, come nel caso di Italia – Inghilterra, non si tratta solo di prestigio e orgoglio nazionale. Come molte altre nazionalità, anche noi italiani che viviamo in Gran Bretagna abbiamo sofferto negli ultimi anni di quello che Tobias Jone definisce “un certo anglocentrismo dispettoso”, per cui non sorprende che per noi expats questa partita ha il significato di una rivincita tra l’Europa e l’Inghilterra della Brexit. Per un gruppo di persone il risultato costituisce l’avvallamento della superiorità di una parte sull’altra, la dimostrazione che lasciare l”UE è stata la decisone giusta o un terribile errore.

In ambito internazionale lo sport, detto francamente, è una battaglia politica. E da italiana in UK che ha vissuto l’amarezza della Brexit, vedere l’Italia vincere proprio a Wembley mi ha riempito di orgoglio nazionale, alla faccia di quel 51% della popolazione che nel 2016 ha deciso di uscire dall’Europa e tornare ad essere un’isola.

2021 Paola Cacciari

L’avvicinarsi del ritorno alla normalità 😷

È “molto probabile” che le persone in Inghilterra possano tornare a “in pratica alla vita prima del Covid” il 19 luglio, ha detto ieri il primo ministro Boris Johnson alla BBC, aggiungendo che “ha avuto senso attenersi al nostro piano” e mantenere un “approccio cauto ma irreversibile” nel revocare le restanti restrizioni sul coronavirus.

E se sono felice di dire addio (o arrivederci?) alla mascherina e agli abusi verbali che mi procura il chiedere ai visitatori del Museo di indossarla correttamente o indossarla del tutto (certa gente pensa sia accettabile rimuoverla non appena varcata la soglia dell’edificio), non sono proprio pronta per tornare alle folle del prima del lockdown. 😱 Voglio mantenere la distanza di sicurezza…😬