Il dilemma del XXI secolo: vivere la vita o fotografarla?

Quesito: state davvero vivendo questo momento? Questo essere qui, ora a fare quello che state facendo – scrivendo sulla tastiera delo vostro computer, mangiando un gelato, guardando un quadro, un paesaggio, assistendo ad uno spettacolo, leggendo il giornale, o questo post. Lo chiedo perchè ovunque vada, per la strada o al lavoro al museo, tutto ciò che vedo sono persone di tutte le età che guardano nei fissi nei loro smartphone. Io sono una delle colpevoli, lo ammetto.

Perchè sentiamo così ungentemente il bisogno di aggiornare lo status di Facebook o di controllare per la millesima volta Twitter, Instagram gli e-mail sui nostri smartphones, la mano ansiosa che scava nella borsa o nelle tasche dei jeans a cercare il telefono non appena sentiamo il bing di una notifica indipendentemente dal luogo in cui ci troviamo?  La cosa mi preoccupa. Sarò antiquata, ma trovo estremamente maleducato verso gli artisti e gli altri spettatori usare il telefono a teatro o al cinema durante uno spettacolo. Come qualche sera fa alla Royal Albert Hall, la bellissima sala da concerti vittoriana in quel di South Kensington, dove per un colpo di fortuna stratosferico avevo trovato un biglietto bazza per un magnifico concerto di musica sinfonica russa, una fantastica hit-parade di grandi compositori come Borodin, Mussorgsky, Rimsky-Korsakov e Tchaikovsky per intenderci. Davanti a me era seduta una giovane coppia di turisti che continuava ad ignorare allegramente i richiami della maschera che ripetutamente chiedeva loro di smettere di filmare il concerto e spegnere il telefono.

Dal mio posto nella fila dietro, li vedevo incessantemente inviare messaggi su WhatsApp, picchiettare la tastiera dello smartphone con dita più veloci della luce. La luce emanata dallo schermo del telefono era in linea con la mia visione del direttore d’orchestra che finiva così per diventare tutt’uno con lo sfondo verde e giallo di WhatsApp. Ogni tanto la ragazza alzava il telefono per scattare una foto al palcoscenico prentamente condivisa su Facebook. Vedere il concerto attraverso lo schermo di un cellulare altrui non era la mia idea di una serata live. Vincedo la tentazione di afferrare il suo smartphone e ficcarglielo in gola, mi sono limitata a picchiettare gentilmente la ragazza sulla spalla chiedendole con tutta la cortesia che sono riuscita a raccogliere di metterlo via perché disturbava noi che si stava dietro. La maschera mi ha lanciato uno sguardo grato e lo stesso ha fatto la signora seduta a poca distanza da me. Non capisco. Che senso ha pagare per un concerto (ma potrebbe essere uno spettacolo teatrale, una mostra o un balletto) se poi non la si vive in pieno perché si è troppo occupati a condividerla con i milleetrecentocinquadue amici che si hanno in Facebook?

Uno studio del 2013 ha scoperto che le persone che vanno in giro per musei fotografando tutto ricordano molto meno della loro visita di coloro che invece si limitano a guardare e a scattare qualche foto occasionale. La cosa non mi sorprende. In fondo perché affaticare il cerverlo con ricordi “inutili” (cosa discutibile) quando possiamo accedere all’immenso archivo fotografico del nostro iPhone o simili o trovare la stesssa informazione su Google? Detto questo, io adoro la fotografia e scatto foto ovunque. I ricordi scivolano via come sabbia tra le dita e la fotografia è un mezzo meraviglioso per fermare il tempo. Ma c’è un tempo e un luogo per tutto. Voi cosa ne pensate?

2018 © Paola Cacciari

15 thoughts on “Il dilemma del XXI secolo: vivere la vita o fotografarla?

    1. Io adoro la fotografia e come ho detto ne scatto a centinaia di foto. Ma la compulsione del giorno d’oggi a vivere la vita attraverso la lente del cellulare mi preoccupa… :/

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  1. Al concerto e non solo, è un contagio inarrestabile, il fatto è che come per il tifo e qualsiasi epidemia si trova prima o poi il vaccino, qui l’unica possibilità è il trapianto collettivo. Di cervello.
    Ciao, Paola (la lista degli sdegni mi incomincia ad essere un po’ troppo lunga!)

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    1. Capisco e condivido… Io personalmente ho cercato di contenermi ad uno sdegno solo (la suddetta maleducazione da smartphone) ma la lista si potrebbe allungare paurosamente… Non mi tentare… Quando cambiero’ lavoro risuscitero’ dalla pensione la bisbetica Mrs Garrick e i suoi pettegolezzi museali… 😉

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  2. Mi hai fatto ritornare in mente una ragazza australiana che, in Messico, veniva a fare le escursioni nel nostro gruppo e non faceva nessuna foto! Dopo un po’ glielo abbiamo chiesto, capirai, da un’eccesso all’altro!
    Anche io sono della teoria del viverci le cose!

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  3. Che domanda densa di risvolti interessanti! la fotografia è facile da amare ma spesso si sente davvero l’esigenza di staccarsi dalla necessità di dover testimoniare e documentare ogni cosa. Un saggio sulla fotografia che adoro e mi ha fatto riflettere sulla questione è quello di Susan Sontag in particolare quando, oltre a tutte le cose meravigliose che scrive, ci parla dello stretto legame tra fotografia e nostalgia.

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  4. Penso che qui ci sia molta maleducazione da parte di quei due che anch’io senza ombra di dubbio, avrei ripreso. Per fortuna non ho di queste manie. Uso il cellulare solo a casa. Mai fuori. Me lo porto dietro e prendo solo qualche telefonata. Null’altro. Buona giornata cara Paola. Un abbraccio e buon lavoro. Isabella

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    1. Ah, sì certo! 🙂 L’ho visto ma non ho potuto commentare subito e poi mi è passato di mente.
      Hai ragione, sulla mentropolitana, treni, bus ci sono solo smartphones. La gente legge di tutto sui telefoni, le notizie della BBc, il giornale, twitter e Instagram anche grazie al WI-FI grauito offerto dalla metropolitana. Ma è un modo come un altro per isolarsi, bloccare il mondo e avere qualche minuto per se stessi. Ma ti confesso che quando vedo qualcuno che legge un libro di carta mi commuovo quasi! Eppure le vendite di libri sptampati è cresciuta notevolmente invece di diminuire (nonstante i vari kindle, kobo etc etc). Forse la gente legge a casa. 🙂

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