Il Giugno Fiammeggiante di Lord Leighton (Flaming June)

Gli anni Sessanta furono gli anni della rivoluzione. Il periodo più celebrato e mitizzato della nostra epoca, il decennio che genitori e nonni (e chiunque ci sia passato, anche in modo tangenziale), non ci permetteranno mai di dimenticare. Per la generazione della Swinging London liberarsi del vecchiume passato – si trattasse di idee, stili di vita, moda, pettinature o musica- era una sorta di dovere morale e tale dovere era stato esteso anche all’arte. E per la generazione della Swinging London nulla era più offensivo e fuori moda dell’arte vittoriana. E qui comincia la storia di Flaming June, il capolavoro di Frederic Lord Leighton (1830-1896).

Self portrait of Leighton (1880)
Self portrait of Leighton (1880)

Certo, quando lo presentò alla Royal Academy nel 1895 insieme ad altre cinque opere dipinte per l’occasione (le altre quattro conosciute sono Lachrymae (1895), del Metropolitan Museum of Art in New York; ‘Twixt Hope and Fear, The Maid with the Golden Hair e Candida (1894-95), tutte appartenenti a collezioni private sin dal XIX secolo), Leighton non poteva sapere che Flaming June sarebbe stato uno degli ultimi quadri che avrebbe dipinto. O che sarebbe diventato il suo dipinto più famoso e celebrato. Ma l’opera fece scalpore per il suo sapore vagamente erotico (e forse proprio per quello…) diventando da subito una delle immagini più amate e riprodotte già nel XIX secolo.

William Luson Thomas, artista e incisore e proprietario del settimanale illustrato The Graphic, lo acquistò da Leighton nel 1895, al suo ritorno da un soggiorno in Nord Africa, dove il pittore sperava di guarire dai problemi di cuore che lo avrebbero ucciso nel Gennaio dell’anno successivo. Con l’opera, Luson si era assicurato anche i diritti di riprodurla, inaugurando così una nuova era di mercificazione di quadri famosi,  prontamente trasformati in manifesti volti a decorare le abitazioni della borghesia vittoriana amante dell’arte, ma priva dei mezzi finanziari per acquistare gli originali. Tuttavia, nonostante il suo successo commerciale fosse già stabilito, il giornale vendette Flaming June nel 1906 alla famiglia Watney, titolare dell’azienda produttrice di birra James Watney & Co. che nel 1915 a sua volta lo prestò all’Asmolean Museum di Oxford, dove il dipinto rimase fino al 1930 quando fece ritorno per un breve periodo a Leighton House, allora da poco trasformata in museo per il centenario della nascita dell’artista.

Frederic Leighton gave friends and guests a preview of his paintings for the Royal Academy summer exhibition in April 1895 (Image: Bedford Lemere © Historic England Archive) The line-up reunited in Flaming June: The Making of an Icon at Leighton House Museum until 2 April 2017. (Image: Kevin Moran. Courtesy: Leighton House Museum)
Frederic Leighton gave friends and guests a preview of his paintings for the Royal Academy summer exhibition in April 1895 (Image: Bedford Lemere © Historic England Archive)
The line-up reunited in Flaming June: The Making of an Icon at Leighton House Museum until 2 April 2017. (Image: Kevin Moran. Courtesy: Leighton House Museum)

Dopodiché il vuoto. Il quadro scomparve letteralmente dalla faccia della terra per oltre trent’anni, prima di riapparire nel 1962 nella vetrina del negozio di un un corniciaio di Battesea (portatovi da un muratore che sosteneva di averlo trovato in una casa non lontana da lì destinata alla demolizione), dove attrasse l’attenzione del musicista e compositore Andrew Lloyd Webber. Ma Lloyd Webber, allora uno squattrinato studente d’arte con la passione per l’arte vittoriana e ambizioni da collezionista, non possedeva le cinquanta sterline necessarie per comprare il quadro (il successo di musical come Jesus Christ Superstar, Evita, Cats e Il fantasma dell’opera che gli averebbe portato fama e denaro e che gli ha permesso di ammassare un’impressionante collezione di arte vittoriana, era ancora lontano) e avendo appena speso la stessa cifra in libri antichi, si risolse a chiedere un prestito a sua nonna. Che glielo rifiutò, dicendo che non voleva ‘cianfrusaglie vittoriane’ in casa sua. Con buona pace di Lloyd Webber che dovette rassegnarsi a dire addio alla sua bella addormentata.

Eventualmente il dipinto fu comprato nel 1963 per sole £2,000 dall’uomo di affari portoricano Luis Ferré, a cui invece le ‘cianfrusaglie’ vittoriane piacevano molto, tanto da costruire persino un museo a Ponce, la sua città natale, sulla costa meridionale dell’isola di Puerto Rico, in cui ospitare la sua collezione di Preraffaelliti. E da quell’isola del mar dei Caraibi, la fama del dipinto ha continuato a crescere inesorabilmente: oggigiorno Flaming June è un quadro talmente famoso che si fatica a ricordare che manca dall’Europa dal 2008, quando cioè fu esposto a Tate Britain insieme ad un altra chicca della collezione di Luis Ferré, The Sleep of Arthur in Avalon di Burne Jones.

Frederic Lord Leighton Flaming June (1895) Museo de Arte de Ponce
Frederic Lord Leighton Flaming June (1895) Museo de Arte de Ponce

A prima vista Flaming June sembra solo un groviglio di tessuto stropicciato di un arancione, caldo e luminoso come il sole di una calda giornata di Giugno. La stagione preferita dai pittori dell’Estetismo era infatti la piena estate, quando il sole accende di luce i colori della natura. Nel dipinto di Leighton brillanti colori tizianeschi rivestono un corpo dalla potente anatomia michelangiolesca: Michelangelo non a caso utilizza quella posa raggomitolata di origini classiche nella figura de La Notte (1521-34) per le Cappelle Medicee nella Basilica di San Lorenzo a Firenze, scultura di cui Leighton possedeva diverse fotografie che conservava nel suo studio.

Le immagini di donne inconsapevoli – fossero esse addormentate, assorte, morte o morenti come l’Ophelia di John Everett Millais (per cui Millais fece immergere Lizzie Siddal, la moglie dell’amico Dante Gabriel Rossetti in una vasca da bagno riscaldata da candele – esperienza dalla quale la giovane uscì con una feroce bronchite che quasi la uccise per davvero…) sono una caratteristica dell’epoca vittoriana. Ma a differenza della tormentata Ophelia preraffaellita di ispirazione botticelliana, con Flaming June ci troviamo davanti all’Estetismo all’ennesima potenza. Come le sensuali bellezze dalle labbra carnose del Rossetti dell’ultimo periodo, anche Flaming June è esattamente ciò che rappresenta: una giovane donna addormentata. Inutile cercare tra le pieghe di quel brillante tessuto arancione un significato più profondo dello squisito esercizio di padronanza della linea e del colore in cui gli esteti erano maestri. Leighton, dapprima associato ai Preraffaelliti, si allontanò verso la fine della sua carriera da soggetti allegorici per abbracciare il credo estetico dell’arte per l’arte. Per lui e per gli altri artisti, Whistler, Watts, Albert Moore e Burne-Jones, ciò che importava non era il soggetto, ma la sublime combinazione di amosfera, armonia del colore e bellezza della forma. Dipinto al tramonto della sua vita, Flaming June è l’ultimo colpo di coda del più intellettuale e rigoroso dei figli dell’Estetismo.

Londra//fino al 2 Aprile 2017

Flaming June: The Making of an Icon

Leighton House Museum, 12 Holland Park Rd, Kensington, London W14 8LZ

Paola Cacciari, pubblicato su Londonita

11 thoughts on “Il Giugno Fiammeggiante di Lord Leighton (Flaming June)

      1. Cara Viki, su questo temo di deluderti che al museo ho il mio daffare a correre a destra e manca per chiere alla gente di non toccare le statue… 😉 😉 😉

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      2. rido paola…..sei molto simpatica! pensa che la prima volta che vidi la paolina borghese, recintata e sorvegliata ta tipo fort knox, restai per un’ora immobile a mo’ di palo davanti a quella meraviglia presa da un desiderio irrefrenabile di toccarla. un custode, giovanissimo, se ne accorse e mi venne vicino a mormorami: non si può…allora mi svegliai. non soffro della sindrome di stendhal ma vorrei toccare, e la voglia è irrefrenabile,cosa ovviamente impossibile

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      3. Credimi cara Viki, capisco perfettamente! Il materiale di alcune opere e’ così incredibilmente invitante che a volte fatico persino io a frenarmi! 🙂 Purtroppo il problema e’ molto piu’ profondo di una semplice “toccata” come vedo quotidianamente dalla mia esperienza al museo. Molta gente al giorno d’oggi tocca le cose perche’ e’ abituarla a farlo ovunque, senza pensare che sedersi su una sedia del XVI secolo in mostra su un piedistallo di un museo e’ diverso dal sedersi su una sedia in vendita all’Ikea e molti oggetti oggetti sono stati danneggiati in modo irreparabile in questo modo da un pubblico filisteo. La cosa mi rattrista molto perche’ sembra che la gente abbia perso il senso dell’unicita’ che rende tale un capolavoro. Qualche tempo fa una donna ha svuotato sotto i miei occhi (allibiti) la sua borsa contenente tra le altre cose, due grossi mazzi di chiavi di casa e della macchina su un tavolo in marmo in pietre dure del Rinascimento e quando l’ho richiamata mi ha detto che se quel tavolo era sopravvissuto fino ad ora sarebbe sopravvissuto ancora un po’! Non si e’ neppure scusata! In un mondo ideale eliminare le barriere tra l’oggetto e il pubblico e’ una cosa democratica, ma questo non e’ un mondo ideale e lasciare oggetti senza prezzo fuori dalle teche di vetro porta a disastri e spezza il cuore ai poveri custodi come me… :/

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      4. tesoro hai tutte le ragioni solo vedi mi sorge una domanda: ma c erti umani che ci vnno a fare nei musei? glielo ordina il medico? e son seria…credo di aver trovata la risposta , i giri organizzati dove gente che per rinascimento intende la resurrezione di lazzaro viene portata in giro a far danni… al centro commerciale l’altra sera ho sentito una tizia parlare con l’amica della sua vacanza in grecia:- mah…tanta fatica per arrivare a veder 4 sassi vecchi e cadenti…-
        intendeva il partenone… fai te

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